Il dato storico è ineludibile: le donne hanno avuto fino a agli anni Sessanta un ruolo sociale nemmeno paragonabile a quello maschile, e andando indietro nel tempo l'impostazione maschile della società ci porterebbe a parlare delle radici greco-romane e cristiane medievali della cultura europea... troppo lontano per i nostri scopi.
Qualche data recente invece può rendere meglio l'idea:
- Nel 1946 le donne votano in Italia per la prima volta, al referendum del 2 giugno.
- Nel 1963 si vieta il licenziamento della donna a causa del matrimonio e si dichiara che le donne possono accedere a tutte le cariche e gli impieghi pubblici;
- Nel 1974 un referendum sancisce la legittimità della legge sul divorzio
- Nel 1975 si approva il nuovo diritto di famiglia che pone fine alla superiorità del marito sulla moglie sancita per legge
- Nel 1978 un referendum sancisce la legittimità della legge 194, che consente alle donne di abortire legalmente entro certi limiti e di essere assistite
- Nel 1981 viene abolito dal Codice Penale l'attenuante del delitto d'onore e il matrimonio riparatore
- Nel 1996 lo stupro viene considerato reato contro la persona e non contro la morale
- Nel 2009-2013 si introduce il reato di stalking e una serie di norme contro la violenza domestica e il femminicidio.
- Nel 2019 (legge n° 69 in vigore dal 9 agosto, denominata "Codice Rosso") aggiunge diverse novità contro i crimini di violenza domestica e di genere, introduce nuovi reati (tra cui il revenge porn), inasprisce pene, cerca di accelerare i procedimenti e rendere le pene più certe ed efficaci.
Bisogna notare le date: ci sono conquiste così ovvie e di buon senso recentissime.
La legislazione ha una doppio ruolo: segue i cambiamenti della società e li promuove allo stesso tempo. In ogni caso i retaggi culturali si sedimentano nella mentalità delle persone, negli usi, nella morale talmente a fondo che il cambiamento è per forza lento e, anzi, a volte può portare fiammate di reazione, anche violenta.
Il linguaggio quindi è espressione conscia e inconscia della cultura di una nazione, e la riflette, e la lingua italiana porta ancora i segni della discriminazione delle donne.
Per questo è fondamentale mettere attenzione alle parole che si usiamo, rendersi consapevoli che non sono mai casuali e che il modo in cui parliamo è una scelta di campo, contribuisce a creare cultura.
Per questo è fondamentale mettere attenzione alle parole che si usiamo, rendersi consapevoli che non sono mai casuali e che il modo in cui parliamo è una scelta di campo, contribuisce a creare cultura.
Rivediamoci il discorso di Paola Cortellesi al premio David di Donatello del 2018:
Notevole vero?
D'altronde la dimostrazione di come sia sedimentata nel linguaggio la discriminazione si ha attraverso un semplice esercizio, che potreste sperimentare anche voi con chi avete vicino:
1) chiedete alla vostra cavia di pensare a un uomo che odia, a qualcuno che ha fatto un torto insopportabile e di pensare tre insulti;
2) chiedete ora di pensare a una donna altrettanto odiosa e di pensare altri tre insulti per lei.
3) Analizzate insieme il significato dei primi tre e dei secondi tre: salvo rare eccezioni gli insulti rivolti alle donne riguardano sempre la sfera sessuale o l'aspetto fisico; se anche gli insulti rivolti all'uomo riguardano la sfera sessuale, sono quasi sempre rivolti a mettere in dubbio la sua mascolinità o la sua eterosessualità, quindi in realtà confermano il pregiudizio.
Riepiloghiamo tre temi caldi che riguardano il linguaggio e la discriminazione di genere:
1) Il dibattito sui nomi di professioni declinate al femminile: l'emancipazione ha portato le donne ad accedere a cariche politiche e professionali prima rigorosamente destinate agli uomini. Per questo non siamo abituati a declinare al femminile alcuni nomi quali ministro, magistrato, sindaco, avvocato ecc. Pensate quanto invece non ci suonino affatto strani i nomi femminili quali operaia, contadina, cameriera ecc. Insistere per usare articoli femminili e declinazioni al femminile "alla pari" per esempio ministra o avvocata è una battaglia culturale per svecchiare la lingua italiana e inserire nella normalità il fatto che anche le donne possano fare questi lavori.
Chiara in proposito l'opinione dell'Accademia della Crusca, che torna più volte sull'argomento, per esempio:
Infermiera sì, ingegnera no?
https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/infermiera-si-ingegnera-no/7368
Sindaco e sindaca, il linguaggio di genere
https://www.facebook.com/notes/accademia-della-crusca/sindaco-e-sindaca-il-linguaggio-di-genere/1214135898630029
2) La narrazione mediatica della violenza di genere: questo è il tema più drammatico. I femminicidi sono l'unico tipo di omicidio che non accenna a calare negli ultimi dieci anni, e si mantiene sulla spaventosa cifra di circa una donna uccisa ogni 2 giorni. Anche sull'uso di questa parola c'è stata polemica: in realtà la parola femminicidio serve perché indica che le donne vengono uccise in quanto tali, e non per altri motivi; nella maggioranza dei casi dal partner o ex partner. E' un fenomeno dai numeri enormi e senza una parola apposta, non può essere messo in risalto e combattuto, si mescolerebbe nelle statistiche con tutti gli altri episodi di violenza e di omicidio.
Il dibattito oggi è tra chi nega che esista un problema culturale dietro la violenza e il femminicidio e ritiene che siano casi di "follia", "raptus", casi singoli e non paragonabili, e chi invece ritiene che vi sia alla base un problema culturale e che questi delitti si assomiglino tutti.
I giornali purtroppo ne parlano quasi sempre con termini che sottintendono la prima ipotesi, come tragedie inspiegabili, conseguenze del troppo amore, o di condotte provocanti delle donne:
"Delitto passionale", "raptus di gelosia", "momento di follia", "troppo amore", "bravo ragazzo", "padre esemplare", e infinite variazioni sul tema dell'amore irrazionale e del fatalismo tragico.
(Da: Come raccontare la violenza sulle donne: linee guida per giornalisti)
Ma i dati statistici non vanno affatto in questa direzione.
Tra le tante analisi sul tema vi consiglio quella fatta da Valigia Blu:
Come i media dovrebbero coprire la violenza sulle donne
D'altronde la dimostrazione di come sia sedimentata nel linguaggio la discriminazione si ha attraverso un semplice esercizio, che potreste sperimentare anche voi con chi avete vicino:
1) chiedete alla vostra cavia di pensare a un uomo che odia, a qualcuno che ha fatto un torto insopportabile e di pensare tre insulti;
2) chiedete ora di pensare a una donna altrettanto odiosa e di pensare altri tre insulti per lei.
3) Analizzate insieme il significato dei primi tre e dei secondi tre: salvo rare eccezioni gli insulti rivolti alle donne riguardano sempre la sfera sessuale o l'aspetto fisico; se anche gli insulti rivolti all'uomo riguardano la sfera sessuale, sono quasi sempre rivolti a mettere in dubbio la sua mascolinità o la sua eterosessualità, quindi in realtà confermano il pregiudizio.
Riepiloghiamo tre temi caldi che riguardano il linguaggio e la discriminazione di genere:
1) Il dibattito sui nomi di professioni declinate al femminile: l'emancipazione ha portato le donne ad accedere a cariche politiche e professionali prima rigorosamente destinate agli uomini. Per questo non siamo abituati a declinare al femminile alcuni nomi quali ministro, magistrato, sindaco, avvocato ecc. Pensate quanto invece non ci suonino affatto strani i nomi femminili quali operaia, contadina, cameriera ecc. Insistere per usare articoli femminili e declinazioni al femminile "alla pari" per esempio ministra o avvocata è una battaglia culturale per svecchiare la lingua italiana e inserire nella normalità il fatto che anche le donne possano fare questi lavori.
Chiara in proposito l'opinione dell'Accademia della Crusca, che torna più volte sull'argomento, per esempio:
Infermiera sì, ingegnera no?
https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/infermiera-si-ingegnera-no/7368
Sindaco e sindaca, il linguaggio di genere
https://www.facebook.com/notes/accademia-della-crusca/sindaco-e-sindaca-il-linguaggio-di-genere/1214135898630029
2) La narrazione mediatica della violenza di genere: questo è il tema più drammatico. I femminicidi sono l'unico tipo di omicidio che non accenna a calare negli ultimi dieci anni, e si mantiene sulla spaventosa cifra di circa una donna uccisa ogni 2 giorni. Anche sull'uso di questa parola c'è stata polemica: in realtà la parola femminicidio serve perché indica che le donne vengono uccise in quanto tali, e non per altri motivi; nella maggioranza dei casi dal partner o ex partner. E' un fenomeno dai numeri enormi e senza una parola apposta, non può essere messo in risalto e combattuto, si mescolerebbe nelle statistiche con tutti gli altri episodi di violenza e di omicidio.
Il dibattito oggi è tra chi nega che esista un problema culturale dietro la violenza e il femminicidio e ritiene che siano casi di "follia", "raptus", casi singoli e non paragonabili, e chi invece ritiene che vi sia alla base un problema culturale e che questi delitti si assomiglino tutti.
I giornali purtroppo ne parlano quasi sempre con termini che sottintendono la prima ipotesi, come tragedie inspiegabili, conseguenze del troppo amore, o di condotte provocanti delle donne:
"Delitto passionale", "raptus di gelosia", "momento di follia", "troppo amore", "bravo ragazzo", "padre esemplare", e infinite variazioni sul tema dell'amore irrazionale e del fatalismo tragico.
(Da: Come raccontare la violenza sulle donne: linee guida per giornalisti)
Ma i dati statistici non vanno affatto in questa direzione.
Tra le tante analisi sul tema vi consiglio quella fatta da Valigia Blu:
Come i media dovrebbero coprire la violenza sulle donne
E anche la ricostruzione di un caso di studio esemplare: la copertura dell'omicidio di Elisa Pomarelli:
Non meno grave è in alcuni casi il racconto dei casi di stupro (e ancora più spesso di molestia): malgrado per legge sia violenza contro la persona, ancora oggi (novembre 2020) si trovano abominevoli commenti giornalistici al riguardo, talmente degradanti per la vittima che possono essere considerati una seconda violenza.
In genere ruotano attorno a tre concetti, sempre quelli: fanno capire che la vittima ha una parte di colpa (ha provocato, ha bevuto, è andata apposta a quella festa, che ci faceva in giro, come era vestita, ecc); paragonano lo stupro al sesso consenziente, negando il fatto che si tratti di due atti completamente diversi, e infine compiono un secondo stupro indugiando morbosamente sui dettagli del corpo della donna, della violenza, dei vestiti ecc. come se invece che di un crimine violento si trattasse di un'impresa erotica. Un esempio.
In genere ruotano attorno a tre concetti, sempre quelli: fanno capire che la vittima ha una parte di colpa (ha provocato, ha bevuto, è andata apposta a quella festa, che ci faceva in giro, come era vestita, ecc); paragonano lo stupro al sesso consenziente, negando il fatto che si tratti di due atti completamente diversi, e infine compiono un secondo stupro indugiando morbosamente sui dettagli del corpo della donna, della violenza, dei vestiti ecc. come se invece che di un crimine violento si trattasse di un'impresa erotica. Un esempio.
3) Hate speech contro le donne:
Ultimo fenomeno tristemente sempre agli onori delle cronache è il discorso d'odio rivolto in modo specifico verso le donne. Personaggi in vista o donne comuni, statisticamente il fenomeno delle ondate di odio sui social media riguarda soprattutto le donne. Probabilmente il sessismo si "sposa bene" con l'aggressività dei cosiddetti "leoni da tastiera": le donne vengono prese di mira non solo e non tanto per le loro idee ma direttamente in quanto donne.
Vengono insultate per il loro aspetto fisico, dai capelli ai vestiti (fenomeno talmente comune da avere un nome in inglese: body shaming); vengono aggredite sessualmente augurando loro ogni genere di violenza (si parla di stupro virtuale), si innescano fenomeni di "branco" nei quali perde importanza il motivo effettivo dell'odio.
Vi rimando ad alcuni articoli che fanno riferimento solo ai casi più recenti:
Un articolo del Corriere della sera che riassume bene le spaventose dimensioni del fenomeno basandosi su due ricerche recenti:
https://27esimaora.corriere.it/20_maggio_27/silvia-romano-altre-rete-l-odio-le-donne-anche-quando-sono-vittime-2bee63a0-a050-11ea-8f7d-66830a0d6de9.shtml?refresh_ce-cp
Giovanna Botteri risponde a Striscia la notizia, estendendo il discorso al body shaming in generale:
https://tv.fanpage.it/giovanna-botteri-risponde-a-striscia-la-notizia-su-bodyshaming-scardiniamo-modelli-stupidi/
L'Osservatore Romano sul caso delle aggressioni contro Silvia Romano, la cooperante liberata dopo 18 mesi di prigionia
https://www.farodiroma.it/losservatore-romano-difende-silvia-contro-di-lei-uno-sguardo-disumano/
Una ricostruzione e un commento:
https://www.valigiablu.it/silvia-romano-polemiche/
Un commento sulle recenti aggressioni alle donne
https://left.it/2020/05/12/voi-odiate-le-donne-libere/
Per capire meglio il nostro recente passato:
La vicenda di Franca Viola e la fine del matrimonio riparatore
Franca Viola, la ragazza che svegliò l'Italia
Processo per stupro, documentario del 1978 su un vero processo per stupro, che segnò il dibattito sulla legge contro lo stupro: si dimostra come era uso colpevolizzare la vittima durante il processo:
https://www.youtube.com/watch?v=ZNvxfxZSUfI
Comizi d'amore di Pasolini, inchiesta del 1963 sui costumi sessuali degli italiani che ha fatto la storia:
https://youtu.be/LSkOnp7Lt-Y
La vicenda di Franca Viola e la fine del matrimonio riparatore
Franca Viola, la ragazza che svegliò l'Italia
Processo per stupro, documentario del 1978 su un vero processo per stupro, che segnò il dibattito sulla legge contro lo stupro: si dimostra come era uso colpevolizzare la vittima durante il processo:
https://www.youtube.com/watch?v=ZNvxfxZSUfI
Comizi d'amore di Pasolini, inchiesta del 1963 sui costumi sessuali degli italiani che ha fatto la storia:
https://youtu.be/LSkOnp7Lt-Y
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